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Dopo il 26 aprile: parole, scuse e impegni

Un confronto necessario sull'accessibilità. Abbiamo preso qualche giorno per riflettere su quanto accaduto il 26 aprile per confrontarci all’interno del collettivo e capire come muoverci nei prossimi passi. Scriviamo questo comunicato per raccontare cosa è successo, assumerci la responsabilità che ci compete e dire pubblicamente che siamo dispiaciutx per come sono andate le cose.


Nei mesi prima dell’evento, insieme a EL*C, abbiamo effettuato un sopralluogo nello spazio che ospitava la festa e abbiamo chiesto espressamente se fosse accessibile per persone in sedia a rotelle. I proprietari ci hanno detto di sì e ci siamo fidate di questa risposta.


Il giorno della festa, ci siamo trovate di fronte a una realtà diversa: la venue non era effettivamente accessibile, il montascale, pur essendo a norma, non era sicuro. Le compagne che dovevano farne uso, si sono giustamente rifiutate di correre dei rischi sulla loro salute. È stato uno shock per noi, che avevamo lavorato con l’idea che lo spazio fosse accessibile per persone in sedia a rotelle. In quel momento, abbiamo provato a trovare una soluzione d’urgenza, costruendo delle rampe artigianali che le compagne hanno potuto testare solo poco prima dell’inizio dell’evento. Purtroppo le rampe non erano sicure e dunque non è stato possibile garantire l’accesso in modo adeguato.



A quel punto, con l’evento già iniziato, EL*C ha dichiarato di rinunciare a partecipare alla serata in solidarietà con le compagne escluse. Ci ha lasciato la responsabilità di decidere come proseguire, riconoscendo le difficoltà logistiche ed economiche che stavamo affrontando e offrendoci supporto nella scelta di portare avanti l’evento.


Abbiamo scelto di non fermare la serata. Sappiamo che questa scelta ha fatto male, e vogliamo spiegare perché per noi era impossibile interrompere l’evento. Safffo è un collettivo autofinanziato. Tuttx noi lavoriamo altrove per mantenerci e organizziamo eventi nel nostro tempo libero, per creare degli spazi di comunità safer all’interno di una città difficile. Quella del 26 aprile era la festa più grande che avessimo mai costruito: aspettavamo circa 800 persone, coinvolgendo 6 artistə internazionali e circa 10 locali, attrezzando tre piani del locale, sostenendo quindi costi artistici molto alti rispetto al solito. Cancellare la serata avrebbe significato non solo mettere di tasca nostra dei soldi che non abbiamo, ma anche mettere in seria difficoltà tuttx lx artistə che per essere lì hanno rinunciato ad altri lavori, alcunx viaggiando anche dall’estero. Fermare tutto non era purtroppo sostenibile per noi, né economicamente, né logisticamente.


Questo non cambia il fatto che delle persone non hanno potuto accedere alla festa e che questa è una mancanza e una ferita che non si può ignorare. Le compagne hanno poi deciso di chiamare un boicottaggio, quindi, all’inizio della serata e per diverse ore, si sono trovate di fronte al locale bloccando l’accesso e spiegando quanto era accaduto. Alcune persone del team di Safffo sono uscite per cercare un dialogo, constatando ulteriormente che in quel frangente non potesse esserci una soluzione attraversabile. Il picchetto e il confronto sono stati dolorosi, ma abbiamo rispettato e compreso le motivazioni.


Ci assumiamo la responsabilità di non aver indagato a fondo l’effettiva accessibilità dello spazio. L’accessibilità non può essere una nota a margine, né qualcosa da verificare "sulla fiducia". D’ora in poi, ci impegneremo ad approfondire le necessità strutturali che sono richieste affinché uno spazio sia realmente accessibile. Quindi verificheremo l'accessibilità delle venue in cui ci appoggiamo, con l’aiuto di persone esperte di questo tema.



La scelta delle strutture che ospitano le nostre feste

Sappiamo che in moltə si sono chiestə perché non organizziamo eventi in spazi occupati. Per la dimensione dei nostri eventi e la necessità di retribuzioni regolari per chi lavora, ad oggi non abbiamo trovato spazi autogestiti che possano sostenere i nostri eventi. È un nodo che continuiamo a interrogarci su e su cui siamo aperte per proposte o confronti.


Decostruire i sistemi di oppressione, come l’abilismo o il razzismo, è un processo continuo. A volte lo si fa leggendo dei libri o attraverso un dibattito, altre volte in modi dolorosi, come è successo in questo caso. Siamo dispiaciutx che a pagare il prezzo più alto siano state proprio le persone che non sono potute entrare. A loro vogliamo chiedere scusa con sincerità, e ringraziarle per averci messo di fronte a una realtà che tuttx dobbiamo affrontare con più rigore, più responsabilità e più cura.

 
 
 

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